TRA STORIA E TERRITORIO
CAT’S – IL GIORNALE DI VICENZA
RESIDENZE E UFFICI A VICENZA – VIA MONTE CENGIO
da L’INDUSTRIA DELLE COSTRUZIONI n. 288 ottobre 1995
di Mario Pisani
Mirko Amatori appartiene alla felice schiera dei progettisti che riescono a realizzare i propri sogni, i desideri: il bisogno di costruire una traccia evidente del loro passaggio sulla terra che sia insieme memoria e testimonianza dei nostri tempi. E, inoltre, punto di segni e di coagulo di una possibile civiltà del costruire. Ovvero di un panorama in cui certamente esistono i picchi, le emergenza, i veri capolavori che segnano la storia imprimendovi una svolta, ma soprattutto incui sono venute meno le costruzioni insignificanti, quella sorta di “marmellata” che invade il territorio, opprimendolo.
Quest’ultime sono state finalmente sostituite da una buona qualità complessiva, quella stessa che in altre epoche storiche ha contrassegnato la cultura architettonica delle cento città d’Italia dove troviamo, insieme al Duomo o al Palazzo Pubblico, un tessuto minuto ma ben fatto e attraente che ci parla con il tono giusto della civiltà del costruire.
Amatori è il giusto erede di quella tradizione, praticamente dissipata dal cattivo gusto, dalle sgrammaticature, dagli errori di concezione, che si trovano dopo il boom della ricostruzione, e ha a portata di mano la possibilità di salire ancora, di giungere all’opera importante, al capolavoro.
Il progettista di Vicenza è già noto ai lettori della nostra rivista per la produzione di costruzioni meticolose e puntuali nelle quali si evidenzia, oltre all’ariosità nella composizione architettonica, in sintonia con le migliori esperienze internazionali, l’attenzione nei confronti dei dettagli, la cura nelle rifiniture l’attento impiego dei materiali.
Amatori continua a punteggiare la città del Palladio – l’architetto più noto della storia, testimonianza certamente ingombrante, ma anche uno stimolo sincero – nella quale maggiormente opera, con interventi emblematici e degni di attenzione. Il più recente, in via Monte Cengio, si colloca su un’area dismessa su cui insistevano attività produttive, nei pressi delle antiche mura cittadine, che come le porte si fanno risalire all’anno Mille. Una zona dove la recente proposta di Gino Valle indica un profondo rinnovamento urbanistico e architettonico tanto da venir caratterizzata come una delle più importanti della nuova Vicenza, là dove si innalzeranno gli scenari del prossimo futuro.
Proprio il piano di Valle, dopo tanta ideologia ammantata da urbanistica, ovvero scienza della programmazione della città, indica il ritorno alla classica configurazione urbana, quella dei tipici quartieri ottocenteschi, nei quali gli edifici sono in linea e appaiono distaccati dalla strada unicamente da un lungo filare di alberi che di norma confluiscono in una piazza.
Si tratta quindi della riproposizione della tanto bistrattata rue corridor messa all’indice da Le Corbusier, che oggi torna a essere valorizzata come elemento della configurazione urbana, purtroppo dopo la realizzazione di troppi “oggetti” che spuntavano quasi per caso dal terreno, tenendo unicamente conto dell’asse eliotermico. Valle esprime in questo modo la critica alle teorie del “moderno” e la volontà di ricostruire uno degli elementi cardine dell’effetto città. Partendo da queste indicazioni il progettista modella un corpo compatto, appunto in linea, destinato ad attività direzionali che si affaccia sulla strada e mantiene l’altezza di tre piani fuori terra, simile agli edifici esistenti. Questo elemento “chiude” il lotto attraverso una quinta scenografica, un muro con apertura che serve unicamente a perimetrare e fungere da recinto mentre dalla parte opposta si insediano, con uno sviluppo a schiera, le unità direzionali. L’autore evoca la memoria degli impianti insediativi della città storica composti dal palazzo importante, con funzioni di rappresentanza e l’ovvio affaccio sulla strada, il portico che filtra il pasaggio verso la corte interna e quindi l’edilizia minore. Questa immagine determina l’articolazione della composizione architettonica che modella il volume direzionale con ampi archi che misurano un porticato pensato per “fermare” il passante, per intrattenerlo a osservare la merce esposta nelle vetrine delle attività commerciali.
Al centro del volume si apre una piazzetta mentre un corpo compatto, anch’esso porticato alla base – per offrire libertà allo sguardo – immette verso l’interno, in quel cortile nel quale si affacciano le singole unità residenziali. Il tutto è dimensionato secondo i rapporti armonici che troviamo in questa terra, dove si è espresa a lungo la viciltà veneziana: questi sono formati da quinte murarie pensate per concludere un intervento, da piazzette, sottoportici e calli.
Ancora alla tradizione veneta fa riferimento il corpo edilizio lungo e stretto, disassato rispetto agli allineamenti generali. Richiama alla memoria la casa “minore” veneta, sostenuta da alti pilastri, dal forte impatto derivato dalla struttura elementare, quasi la riproposizione dell’archetipo della cassa.
Analizzando i risultati finali, nei quali si afferma la ricercatezza dei dettagli con la giusta combinazione dei materiali, possiamo definire l’intervento di Amatori come un episodio di sicuro arricchimento del tessuto urbano.
Dimostrando come sia possibile far convivere gli interessi di una collettività con la giusta remunerazione di un investimento, viene da chiedersi perchè sia così difficile trovare la presenza di interventi analoghi in altre parti d’Italia.
Ci domandiamo se, anche per questa via (la qualità dell’edilizia civile, l’urbanità del tessuto consolidato, la salvaguardia del verde e del paesaggio ecc…) non si corra il rischo di trovarci di fronte a due Italie, a un separatismo reale che tende a omologare il nord del Paese con i livelli europei più avanzati. La reale unificazione del Paese, la possibilità che l’Italia entri tutta insieme in Europa passa anche attraverso l’architettura.
Mirko Amatori ce lo ricorda.